- Ospite ha scritto:
- Anche il femminismo è una parola brutta. Perché brutta è l’idea che una metà del genere umano si sia così indecentemente appropriata della libertà dell’altra metà, e parlarne reitera una vergogna ancora lontana dall’esser sanata. Così il femminicidio evoca gli strascichi di quella vergogna, costringendoci a chiederci quando sarà veramente finita, quando la religione del tempo sarà veramente ugualitaria.
Per ora, le brutte parole sono solo la conseguenza minore di un danno permanente e vigente.
Anche l'aborto è una brutta parola e può essere "la conseguenza minore di un danno permanente e vigente" se la società dei benpensanti cessa di colpo ad avere degli scrupoli e lo tratta come feticidio.
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/06/usa-se-laborto-spontaneo-diventa-feticidio-20-anni-prigione-purvi-patel/1569194/
Usa: se l’aborto (spontaneo) diventa ‘feticidio’. 20 anni di prigione a Purvi Patel di
Erica Vecchione E’ di qualche giorno fa la prima sentenza di incarcerazione per feticidio ai danni di
Purvi Patel. Non succede in
Afghanistan o in
Marocco, non succede in
Somalia e nemmeno in
India. Accade negli
Stati Uniti del 2015.
Purvi Patel vive in
Indiana in una famiglia conservatrice indù con i genitori e i nonni invalidi. Quando resta
incinta, siccome la famiglia non approva il
sesso prima del matrimonio, tiene nascosta la gravidanza. Ma quando tra la 23esima e la 24esima settimana entra in travaglio nel bagno di casa, partorisce un
bimbo morto. Sconvolta dallo shock, ripone il feto in un sacco di plastica e lo butta in un cassonetto. Quando si presenta in ospedale con una forte emorragia, è costretta ad ammettere di aver avuto un
aborto spontaneo.
Ma Purvi Patel non viene creduta. L’accusa sostiene di essersi procurata l’aborto mediante
pillole abortive ordinate online (l’acquisto delle pillole è legale ma con prescrizione medica) benché l’
esame tossicologico effettuato sulla donna non abbia trovato riscontro.
Purvi Patel viene condannata sia per
feticidio (condizione per la quale il feto dovrebbe essere morto in utero) che per
abbandono di minore (il feto dovrebbe essere nato vivo); una contraddizione di fondo visto che l’uno esclude l’altro. Purvi Patel, oltre al dramma umano di aver perso il suo bambino sconterà, nella
democratica ed
emancipata America del terzo millennio,
una pena detentiva di vent’anni.
L’episodio, a detta di molte voci dentro e fuori dal coro di attivisti, segna un tragico precedente nella storia legale americana e manda un messaggio forte alle donne su come vivere la loro gravidanza. Un segnale che intende punire, anziché tutelare, tutte quelle donne che potrebbero avere un aborto spontaneo, un bimbo nato morto o che vogliono gestire in autonomia
il diritto di terminare una gravidanza. La pratica abortiva nei termini previsti, all’interno di una struttura ospedaliera, resta ancora legale, ma il caso di Patel rende la linea di demarcazione tra feticidio e aborto molto sfuocata.
E’ probabile che da oggi, in America, molte saranno le donne a temere di recarsi dal proprio dottore per paura di essere
perseguibili per legge. Non è da escludere che invece di ricorrere alla più basilare
assistenza medica le dirette interessate comincino a creare una rete privata e clandestina per garantirsi una certa privacy. Questo sarebbe un passo indietro di circa sessant’anni. Prima dell’introduzione del
birth-control le donne che restavano incinte, praticavano per disperazione rimedi fatti in casa che nel peggiore dei casi (tanti) terminavano la gravidanza con la morte stessa della madre tra atroci dolori. Purghe di varia natura, aceto nell’utero, bevande di sapone concentrato, voli da fienili e scalinate, sono alcuni dei sistemi utilizzati un tempo.
E’ ancora forte nei confronti della gravidanza la volontà di gestione da parte della società e dell’uomo, e tuttora
l’aborto è considerato da molti
un crimine morale.
Simone de Beauvoir, nel suo classico
Il secondo sesso, sostiene che “la società così accanita nel difendere i diritti dell’embrione si disinteressa dei bambini nel momento in cui sono nati”, denunciando la mancanza di strutture di assistenza sociale. E inoltre, “si rifiuta di ammettere che il feto appartenga alla madre che lo porta, mentre si permette che il bambino sia proprietà dei genitori”.
Ma
Purvi Patel non ha abortito. Purvi Patel ha perso il suo bambino. Un bambino che sicuramente le avrebbe creato non pochi problemi all’interno della sua famiglia d’origine, ma che aveva comunque deciso di tenere (le informazioni a disposizione non confermano il contrario). (…)