“Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo”, dice Adriano, l’imperatore redivivo nella penna sapiente della Yourcenar.
Il potere esercitato inseguendo grandi visioni di ordine, di felicità e di bellezza.
La classicità, non ancora offuscata dal cristianesimo coi suoi portati di colpe e di peccati, ancora viva, e non oggetto di riscoperta come fu per l’uomo rinascimentale, consente la ricostruzione fantastica di una vita modernamente intesa come servizio e ricerca della felicità personale, un connubio difficilissimo in tutte le epoche.
Quell’Adriano rispecchia non tanto la potenza di un impero, ma l’energia primitiva di un uomo volitivo e animato da passioni, in grado di incidere sul mondo esterno, come si può solo in certe epoche fortunate, epoche di splendori, tra lontani inizi e ancor più lontani tramonti.
La commozione che alimenta il racconto è racchiusa nella ricerca costante di un superiore equilibrio, una coerenza interiore, tra ciò che si è e ciò che è necessario fare.
Ma senza drammi, nella libertà pagana degli uomini antichi, a cui gli dei servivano come semplici compagni di strada, ostili o complici, mai giudici ultimi di una vita terrena.
“ Si direbbe che il quadro dei miei giorni, come le regioni di montagna, si componga di materiali diversi agglomerati alla rinfusa. Vi ravviso la mia natura, già di per se stessa composita, formata in parti uguali di cultura e d’istinto. Affiorano qua e là i graniti dell’inevitabile; dappertutto, le frane del caso.
Mi studio di ripercorrere la mia esistenza per ravvisarvi un piano, per individuare una vena di piombo o d’oro, il fluire di un corso d’acqua sotterraneo, ma questo schema fittizio non è che un miraggio della memoria. Di tanto in tanto, credo di riconoscere la fatalità in un incontro, in un presagio, in un determinato susseguirsi di avvenimenti, ma vi sono troppe vie che non conducono in nessun luogo, troppe cifre che a sommarle non danno alcun totale.
In questa difformità, in questo disordine, percepisco la presenza di un individuo, ma si direbbe che sia stata sempre la forza delle circostanze a tracciarne il profilo; e le sue fattezze si confondono come quelle di un’immagine che si riflette nell’acqua.
Io non sono di quelli che dicono che le loro azioni non gli assomigliano: bisogna bene che le mie mi assomiglino, dato che esse costituiscono la sola misura dellesser mio, il solo mezzo di cui dispongo per affidare me stesso alla memoria degli uomini, e persino alla mia; dato che forse l’impossibilità di continuare a esprimersi e modificarsi con nuove azioni costituisce la sola differenza tra l’esser morti e l’esser vivi.
Pure, tra me e queste azioni che mi configurano si apre uno jato indefinibile, e la prova ne è che sento senza posa il bisogno d soppesarle, di spiegarmele, di rendermene conto.
Vi sono lavori di breve durata, sena dubbio trascurabili; ma altre occupazioni, che si prolungarono tutta la vita, non hanno maggior significato. Per esempio, nel momento in cui scrivo, mi sembra a malapena essenziale d’esser stato imperatore”
“Memorie di Adriano” - Marguerite Yourcenar