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 Lo chiamano femminicidio

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MessaggioTitolo: Lo chiamano femminicidio   Lo chiamano femminicidio Icon_minitimeMer 19 Giu - 23:30

Lo chiamano femminicidio. Ed è un termine brutto, almeno quanto il concetto che si possa venire ammazzate in quanto donne.
Sarebbe assurdo pensare ad una forma di razzismo che coinvolge più della metà della popolazione, una popolazione contigua, anzi intima, anzi familiare. E allora cos’è?  Forse è la tentazione della forza di fronte ad una debolezza seduttiva, come si fa anche con i bambini talvolta col pretesto di educarli, perché la fragilità altrui solletica la sotterranea volontà di dominio presente anche nel più civilizzato degli uomini.
Poi, c’è la ribellione di fronte al desiderio frustrato, la possibilità di acquisire sostanza attraverso una facile prevaricazione, la cui giustificazione è a portata di mano, recata con sé da secoli di storia di sottomissione femminile.
E la vittima si presta così a facili chiamate di corresponsabilità, poiché tutti si sentono in diritto di dichiarare come si debba comportare una donna, automaticamente spogliata della sua individualità e relegata al biotipo femminile, con tanto di habitat, di mansioni, di regole di sopravvivenza, di istinti, di richiami, e di peculiarità della specie, così come elaborati da milioni di osservatori, passati e futuri.
Sarebbe bello che fossimo veramente senz’anima, o che fosse almeno un’anima di serie B, come predicavano gli antichi cristiani, pronti a tacciare di stregoneria la volontà di indipendenza di una donna che, in quanto portatrice di tentazioni, poteva tranquillamente essere eliminata proprio per eliminare quelle.
Gli uomini che uccidono le donne o le maltrattano non intendono eliminare quelle donne, o non solo, ma vogliono uccidere l’idea della dipendenza da esse, eliminare il disordine causato dalla loro stessa esistenza, ripulire il creato dal dubbio che la mascolinità non sia la condizione privilegiata dell’esistenza.
I diritti femminili sono come la democrazia. Non bisogna mai darla per scontata, e neppure pensare che sia stata conquistata per sempre, perché ci sono mille modi per salvaguardarne la forma e negarne la sostanza.
Così, la galanteria e l’attenzione formale di fronte alle donne somigliano spesso a quei parlamenti fantoccio, che presidiano solo la decenza delle forme, mentre sono imbelli di fronte ai veri padroni dello stato, e impossibilitati ad assumere qualsiasi iniziativa autonoma. Se lo fanno, come per le donne, si votano a un castigo certo, perché il loro potere è “concesso”, octroyè, come si diceva dei primi statuti liberali, da un principe illuminato, il maschio di zona.
Ricordate “Casa di Bambola”? Quanta sdilinquita tenerezza di fronte alla moglie bambina, e quanto disgustato disprezzo di fronte alla donna che assume una iniziativa rischiosa, rompendo l’incantesimo del ruolo affidatole.
 Quello che si rifiuta ad una donna, in definitiva, è sempre questo: la possibilità di scelta.
 Anche gli uomini pagano per le loro scelte, ma difficilmente vengono sacrificati all’idea che la loro donna si era fatta di loro, godono di quella presunzione di libertà personale che è ancora così duro concedere alle donne.
Il “delitto d’onore” era il naturale corollario di questa sottrazione di libertà, il giudizio sociale l’unico faro comportamentale di una femmina, che non doveva esercitare nessun altro tipo di giudizio, perché oggetto e non soggetto di valutazioni.
Sembra di descrivere la preistoria della civiltà occidentale, ed invece, nonostante le leggi, l’istruzione, la liberazione sessuale ed economica, eccoci ancora qui, a boccheggiare di fronte alle pratiche ispirate dai millenari pregiudizi di genere.
Pregiudizi di cui si sono nutrite le stesse donne, impaurite e insicure , talvolta fiere dei piccoli trionfi  da parvenues della società,  contente spesso di essere solo arrivate al proscenio, e soddisfatte solo di  riuscire a mimare gli uomini, ricadendo nuovamente nella gabbia di una categoria.
Anche il femminismo è una parola brutta.  Perché brutta è l’idea che una metà del genere umano si sia così indecentemente appropriata della libertà dell’altra metà, e parlarne reitera una vergogna ancora lontana dall’esser sanata.  Così il femminicidio evoca gli strascichi di quella vergogna, costringendoci  a chiederci quando sarà veramente finita, quando la religione del tempo sarà veramente ugualitaria.
Per ora, le brutte parole sono solo la conseguenza minore di un danno permanente e vigente.
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MessaggioTitolo: Re: Lo chiamano femminicidio   Lo chiamano femminicidio Icon_minitimeMer 8 Apr - 17:05

Ospite ha scritto:
Anche il femminismo è una parola brutta.  Perché brutta è l’idea che una metà del genere umano si sia così indecentemente appropriata della libertà dell’altra metà, e parlarne reitera una vergogna ancora lontana dall’esser sanata.  Così il femminicidio evoca gli strascichi di quella vergogna, costringendoci  a chiederci quando sarà veramente finita, quando la religione del tempo sarà veramente ugualitaria.
Per ora, le brutte parole sono solo la conseguenza minore di un danno permanente e vigente.

Anche l'aborto è una brutta parola e può essere "la conseguenza minore di un danno permanente e vigente" se la società dei benpensanti cessa di colpo ad avere degli scrupoli e lo tratta come feticidio.

.  .  .  .  .  . 
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/06/usa-se-laborto-spontaneo-diventa-feticidio-20-anni-prigione-purvi-patel/1569194/

 
Usa: se l’aborto (spontaneo) diventa ‘feticidio’. 20 anni di prigione a Purvi Patel di Erica Vecchione 

 
E’ di qualche giorno fa la prima sentenza di incarcerazione per feticidio ai danni di Purvi Patel. Non succede in Afghanistan o inMarocco, non succede in Somalia e nemmeno in India. Accade negli Stati Uniti del 2015.
Purvi Patel vive in Indiana in una famiglia conservatrice indù con i genitori e i nonni invalidi. Quando resta incinta, siccome la famiglia non approva il sesso prima del matrimonio, tiene nascosta la gravidanza. Ma quando tra la 23esima e la 24esima settimana entra in travaglio nel bagno di casa, partorisce un bimbo morto. Sconvolta dallo shock, ripone il feto in un sacco di plastica e lo butta in un cassonetto. Quando si presenta in ospedale con una forte emorragia, è costretta ad ammettere di aver avuto un aborto spontaneo.
Ma Purvi Patel non viene creduta. L’accusa sostiene di essersi procurata l’aborto mediante pillole abortive ordinate online (l’acquisto delle pillole è legale ma con prescrizione medica) benché l’esame tossicologico effettuato sulla donna non abbia trovato riscontro.
Purvi Patel viene condannata sia per feticidio (condizione per la quale il feto dovrebbe essere morto in utero) che per abbandono di minore (il feto dovrebbe essere nato vivo); una contraddizione di fondo visto che l’uno esclude l’altro. Purvi Patel, oltre al dramma umano di aver perso il suo bambino sconterà, nella democratica ed emancipata America del terzo millennio, una pena detentiva di vent’anni.
L’episodio, a detta di molte voci dentro e fuori dal coro di attivisti, segna un tragico precedente nella storia legale americana e manda un messaggio forte alle donne su come vivere la loro gravidanza. Un segnale che intende punire, anziché tutelare, tutte quelle donne che potrebbero avere un aborto spontaneo, un bimbo nato morto o che vogliono gestire in autonomia il diritto di terminare una gravidanza. La pratica abortiva nei termini previsti, all’interno di una struttura ospedaliera, resta ancora legale, ma il caso di Patel rende la linea di demarcazione tra feticidio e aborto molto sfuocata.
E’ probabile che da oggi, in America, molte saranno le donne a temere di recarsi dal proprio dottore per paura di essere perseguibili per legge. Non è da escludere che invece di ricorrere alla più basilare assistenza medica le dirette interessate comincino a creare una rete privata e clandestina per garantirsi una certa privacy. Questo sarebbe un passo indietro di circa sessant’anni. Prima dell’introduzione del birth-control le donne che restavano incinte, praticavano per disperazione rimedi fatti in casa che nel peggiore dei casi (tanti) terminavano la gravidanza con la morte stessa della madre tra atroci dolori. Purghe di varia natura, aceto nell’utero, bevande di sapone concentrato, voli da fienili e scalinate, sono alcuni dei sistemi utilizzati un tempo.
E’ ancora forte nei confronti della gravidanza la volontà di gestione da parte della società e dell’uomo, e tuttora l’aborto è considerato da molti un crimine moraleSimone de Beauvoir, nel suo classico Il secondo sesso, sostiene che “la società così accanita nel difendere i diritti dell’embrione si disinteressa dei bambini nel momento in cui sono nati”, denunciando la mancanza di strutture di assistenza sociale. E inoltre, “si rifiuta di ammettere che il feto appartenga alla madre che lo porta, mentre si permette che il bambino sia proprietà dei genitori”.
Ma Purvi Patel non ha abortito. Purvi Patel ha perso il suo bambino. Un bambino che sicuramente le avrebbe creato non pochi problemi all’interno della sua famiglia d’origine, ma che aveva comunque deciso di tenere (le informazioni a disposizione non confermano il contrario). (…)
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