Ne è passata di acqua sotto i ponti dall’idea del governo degli “ottimati” ai governi Berlusconi e, forse, al governo di Donald Trump.
Certi miliardari sono come certe moderne donne di successo. Vogliono tutto: figli, bellezza, potere, eterna giovinezza.
Per alcuni, la politica rappresenta l’àncora di salvataggio rispetto alla “disinvoltura” con la quale hanno arraffato la loro ricchezza; per altri, incarna il gadget finale, l’aureola di prepotente rispettabilità conferita dal consenso alle proprie idee, spesso misere e démodées , come la gestione della loro ricchezza.
Ma perché li votano? Questa è la domanda cruciale.
A parte le risposte ovvie sulla prevalenza del cretino, la potenza mediatica, il richiamo dell’orrido e il voto a dispetto, c’è da constatare soprattutto la generale decadenza qualitativa dell’offerta politica, resa più evidente dalla trasparenza indotta dalle nuove tecnologie, che non consentono più l’esistenza di torri d’avorio e castelli inaccessibili.
Di contro, la carriera politica è diventata accessibile a tutti, senza schermi, senza preparazione, senza gavetta, confusa con un generico presenzialismo e una piccola provvista di battute che identificano il proprio avversario e quello dei propri elettori, un “refugium peccatorum” per ambiziose mediocrità e traffichini lungimiranti.
Chiunque, dotato di una certa sfrontatezza, può correre nell’agone dei cosiddetti rappresentanti del popolo. Non servono neanche bagagli linguistici, correttezza oratoria, anzi. Gli strafalcioni ti avvicinano agli elettori e ti rendono riconoscibile, come il Mike Bongiorno commentato da Umberto Eco.
Del resto, solo una classe politica di scarto potrebbe essere così servile nei confronti della criminalità, così bisognosa essa stessa di protettori, visto che risulta intercambiabile e priva di identità.
Tutti quelli che si affacciano al proscenio salgono sull’ultimo modello di “giostra”. Costa niente, e c’è un sacco di posto.
Prima, c’era Berlusconi, con quella promessa scintillante di soldi. Poi, c’è stato Di Pietro. Ora, c’è Grillo, che consente alla tua piccola cerchia di amici di mandarti in Parlamento. Meglio di uno Zio d’America, di una vincita al lotto, di un lungo talent-show.
L’unica risposta seria a proposte così scadenti sarebbe l’astensione, ma anche questa costituisce un muto lasciapassare, una sorta di involontaria complicità, come l’omertà nei territori mafiosi.
A Roma, c’è un vecchio radicale prestato al PD renziano, Giachetti, che promette solo di essere onesto e dedicarsi alla normale amministrazione, senza il cuore per fare una rivoluzione. Poi ci sono gli eredi di Alemanno, che possono simulare di essere innocenti solo grazie alla grancassa scatenata su Marino.
Ed infine, Lei, la candidata dei 5 stelle, magra e graziosa il giusto, sprezzante come Di Battista e con la quieta ambizione di un Di Maio. Prontissima a cogliere le occasioni, dal praticantato presso lo studio Previti alle primarie online dei grillini. Ma perché le grandi occasioni carrieristiche di questi carneadi senza storia dovrebbero rassicurarci?
Questa trionfante esibizione di verginità sarebbe insufficiente anche per governare un paesello, figurarsi Roma. Eppure, al ballottaggio, la Destra la voterà per non far vincere la sinistra, e molti altri romani lo faranno per punire un PD cittadino colluso. Altri ancora, ex elettori di tutto, voteranno col ghigno dei giustizialisti, convinti di fare la rivoluzione, sino a che non si accorgeranno che anche Masaniello non sa e non può governare, e che si è solo perso altro, prezioso, tempo.