Per essere chiari e concreti: da appassionato dei colori giallorossi, dico che la multa inflitta alla Roma, di cinquantamila euro, è poco meno di un buffetto sulla guancia.
Anzi, è il concetto stesso di sanzione economica che dobbiamo rifiutare, perchè non dobbiamo abituarci al principio che "tutto ha un prezzo".
Non ha un prezzo l'umiliazione di una persona, soprattutto, a maggior ragione quando le circostanze la trasformano oggettivamente in una specie di linciaggio, di persecuzione pubblica.
Molti banalizzano i buu, derubricandoli a "ragazzate", così come si sono assuefatti al vandalismo, dimenticando - o fingendo di non sapere - che per comportamenti di questo genere ci sono ragazzini che si suicidano per la vergogna di essere perseguitati dal bullismo di certi loro compagni: bambini, ragazzi, italiani e stranieri, presi di mira, sbeffeggiati, insultati perché "napoletani" o marocchini, o cinesi, o semplicemente più scuri di pelle. Qualche volta - in certi ambienti - solo perché visibilmente più poveri, i "perdenti", gli "sfigati".
Si dice che tutto questo non è razzismo, ma stupidità: come se il razzismo non fosse prima di tutto stupidità e ignoranza.
Si dice anche che si tratta "soltanto" di una manifestazione di violenza verbale, di riti tribali che cementano il senso di appartenenza: come se il razzismo non fosse la più grave forma di violenza verbale, che spesso preannuncia quella materiale, e non fosse la più vistosa sopravvivenza di una mentalità tribale di chiusura verso tutto ciò che è "diverso".
Si dice anche che si tratta di vigliaccheria: come se il razzismo non fosse la più immediata forma di vigliaccheria, specialmente quando viene esercitata da molti contro uno solo, o da una maggioranza contro una minoranza.
Si dice che quei buu vengono da poveracci che non sanno quello che fanno, e in molti casi è vero: a me è capitato, anni fa, di seguire una partita della Roma in un club di Tor Bella Monaca, seduto in una platea di un centinaio di tifosi. Vicino a me un ragazzotto a un certo punto urla contro Lima, che ha appena sbagliato un passaggio, "negro di merda". Nell'intervallo lo incrocio al bar, ci parlo, e vedo che in effetti è poco più d'un ragazzino, con la faccia spaurita, timido, quasi afasico. Gentilmente gli faccio capire che quell'urlo è una cosa brutta, mi capisce e mi chiede quasi scusa. Non m'illudo di aver provocato benefici permanenti, ma è stato come aver guardato per un momento dentro un grande vuoto.